Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 228
giugno 1996


Rivista Anarchica Online

Incontri a Grenoble
di Colin Ward

È senza dubbio un'indicazione del cambiamento di pubblico per la propaganda anarchica il fatto che il più recente incontro internazionale anarchico sia stato organizzato dal dipartimento di Sociologia della università Pierre Mendès di Grenoble nel sud-est della Francia. Questa è una delle numerose università che condividono lo stesso campus fuori della città, servito da un'invidiabile rete tranviaria, a bassi costi e frequenti corse, i cui veicoli, comodi e silenziosi, dovrebbero suscitare l'invidia delle città inglesi.
La conferenza su La Culture Libertaire si è tenuta dal 21 al 23 marzo, con oltre trenta sessioni (alcune parallele) che per tre giorni sono andate avanti dalle 9 del mattino alle 7 di sera. La partecipazione era libera e ogni sessione ha visto la presenza di giovani e anziani, seduti nei corridoi del teatro della Scala della conferenza e spesso in una sala adiacente dotata di schermo televisivo. A causa della mia scarsa conoscenza delle lingue ho saltato numerosissime sessioni, ma a ciascuna hanno partecipato dalle 100 alle 150 persone, e il problema in genere è stato quello di trovare un posto a sedere vicino all'interprete che sussurrava tra gli amici provenienti da Olanda, Svizzera o Francia.
Al pianterreno si trovava una gran varietà di bancarelle dove era esposta e venduta l'impressionante produzione letteraria anarchica in francese, tedesco, italiano e spagnolo. Dal punto di vista della mole di opere, quello che più di ogni altro si distingueva era probabilmente l'Atelier de Création Libertaire (BP 1186, 69202, Lyon, Cedex 01, Francia e la libreria associata Librarie La Gryffe, 5 Rue Sebastien Gryphe, 69007, Lyon, Francia). Comunque, dall'Alternative Libertaire (BP 177, 75967, Parigi, Cedex 20, Francia) ho anche appreso che la storia del movimento anarchico francese di Jean Maitron è stata di recente pubblicata in Libano in lingua araba.
Se consideriamo il fallimento del movimento anarchico internazionale nella sua opera di diffusione in mondi al di là dell'Europa e dell'America settentrionale o meridionale (se si escludono le ben note incursioni in Cina, Giappone, Corea, così come le parallele tendenze in India), questa è una notizia intrigante. Ma perché mai dev'essere la storia, invece che un'applicazione delle idee anarchiche all'attuale fermento in quello che, per noi, è il Medio Oriente?
Questa questione della rilevanza contemporanea è stato uno dei temi che molti partecipanti hanno sollevato, ed è stato espresso in vari modi che riflettevano le differenze tra il vecchio e il nuovo anarchismo. Senza indugi lo ha affrontato Rossella Di Leo, della cooperativa Editrice A che pubblica la rivista mensile A, il trimestrale Volontà e la serie di libri della casa editrice Elèuthera, con autori che vanno da Kurt Vonnegut a Marge Piercy.
Da lei è venuta l'esortazione a evitare le recriminazioni tra i differenti concetti di anarchismo e ad avere maggiore consapevolezza delle attuali tendenze esterne al nostro mondo privato. «L'anarchismo non è soltanto una variante dell'archeologia industriale», ha affermato, e ha poi continuato parlando dei legami tra il pensiero anarchico e il movimento Verde, il movimento delle donne, le attuali campagne di azione diretta condotte dai cittadini, e la «teoria del caos» in geografia e nella matematica, così come delle teorie educative e biologiche sulle piccole cellule di autogoverno come fondamento del comportamento sociale.
Di Leo è stata seguita da Anna Niedzwiecka che diffondeva diversi giornali anarchici polacchi e ha sottolineato che il fatto degno di nota era la giovane età dei partecipanti. L'unica occasione nella quale dal pubblico si sono levate voci contrariate è stato quando Mimmo, un ragazzo di Lione con una folta barba, ha illustrato un paragone tra le caratteristiche sociali del movimento anarchico nel 1895, come descritto all'epoca da Augustin Hamon in Psychologie de l'anarchiste-socialiste, e nel 1955, come scoperto da una sua stessa ricerca. Le sue intuizioni erano molto simili a quelle scaturite da due studi a carattere universitario condotti trent'anni prima da Freedom, ma Mimmo è stato accusato di sottrarre l'anarchismo ai lavoratori dell'industria per consegnarlo all'intellighenzia laureata.
Ho pensato che non fosse del tutto giusto rimproverarlo per avere analizzato con attenzione alcuni fatti sociali, ma davvero non c'era il tempo sufficiente per esplorare l'idea che talvolta nel secolo successivo un nuovo movimento anarchico potrebbe levarsi dal «sottoproletariato» creato dal collasso dell'occupazione industriale in tutto il mondo occidentale.
Ma sono stati sollevati anche altri punti che vale la pena ricordare. Per esempio, John Clark, della Louisiana, ha parlato dei legami tra il movimento ecologico e la dottrina del libero arbitrio, una questione esplorata con precisione nel pamphlet della Freedom Press Deep Ecology and Anarchism. Tuttavia, quando abbiamo preso l'autobus per Chamrousse, dove si era organizzato un pranzo all'aperto, circondati dai campi ricoperti di neve, invece delle questioni sollevate abbiamo finito per parlare della musica cajun. Gli entusiasmi personali hanno avuto il sopravvento sull'ideologia.
Eduardo Colombo, un veterano della Protesta di Buenos Aires, ma da lungo residente a Parigi e studioso della psicologia dell'anarchismo, ci ha sottoposto diversi, interessanti spunti di riflessione su un continuum sovrapposto. Gli anarchici, a suo avviso, si possono rintracciare in diverse categorie di comportamento. Queste includono:
1. I Millenariani, convinti che un giorno tutto cambierà, dopo una «rivoluzione sociale».
2. I relativisti radicali del Post-Illuminismo, che attendono una serie di differenti e discontinui cambiamenti radicali nella società.
3. Gli Eterni Ribelli, che diventano anarchici per ragioni collegate alla loro psicologia personale.
4. Quelli il cui anarchismo è parte della situazione sociale complessiva. Questo, sosteneva, era vero per esempio tra i lavoratori sindacalizzati delle diverse categorie della Fora di Buenos Aires o della Cnt di Barcellona. Questo è il tipo di anarchismo che realmente può provocare rivoluzioni, ma non necessaria- mente sostenerle.
Rudolf De Jong, di Amsterdam, ha preso come suo titolo «L'anarchismo dopo la caduta del muro di Berlino», nel tentativo di sollevare la questione della rivoluzione reale e irreale. De Jong ha sottolineato l'esistenza di una canzone abbastanza nota sulla presa della Bastiglia nella rivoluzione francese. Diceva: «La Bastiglia è caduta/E nulla è cambiato».
Questo, suggeriva, era al tempo stesso vero e non vero. Nessuno in realtà aveva opposto resistenza all'attacco alla Bastiglia e nessuno aveva opposto resistenza all'attacco al Muro di Berlino. Tuttavia esistevano profonde differenze tra i due movimenti di massa cui nessuno aveva opposto resistenza. Diversamente dalla rivoluzione francese del 1789 o dalla rivoluzione spagnola del 1936, la caduta del muro nel 1989 non fu accompagnata da nessuna idea nuova.
Il suo obiettivo fu semplicemente quello di mettere fine al vecchio regime assurdamente oppressivo, la cui popolazione era costantemente in declino perché la gente metteva a repentaglio la propria vita semplicemente uscendo di casa. Ma la sola alternativa da offrire era quella di un'economia di mercato capitalistica - le voci di dissenso da sinistra venivano imprigionate o esiliate o avevano dato il via alla lotta. A nessuno era stato permesso di elaborare nuove idee su come organizzare la produzione e la distribuzione di beni e servizi, così il povero è diventato più povero e le vittime del vecchio regime sono state anche le vittime del nuovo.
De Jong ha paragonato la rivoluzione spagnola del 1936 che coinvolse al massimo circa dieci milioni di persone, con gli eventi del 1989 che coinvolsero i trecento milioni di abitanti dell'Impero sovietico. Statistiche a parte, uno dei suoi argomenti più importanti è stato che se qualche virus selettivo avesse eliminato domani tutti gli anarchici del mondo, l'anarchismo come idea sarebbe sopravvissuta ed emersa in ogni tipo di società.

Lo stesso tipo di questione è stata sollevata da numerosi oratori: Alain Pessin, nostro ospite, Ronald Creagh di Montpellier e Peter Schrembs dalla Svizzera, che ci ha ricordato che il tema del «Vecchio e Nuovo anarchismo» era stato al centro di un incontro internazionale nel 1974, quando Luce Fabbri ci richiamò a un «anarchismo sotto voce», quando è verosimile si riesca a ottenere attenzione, ammonendoci che non era necessario porre l'uno contro l'altro. Mi pare di ricordare sentimenti simili nel 1984 all'incontro di Venezia, e io sono fermamente convinto che gli aderenti al vecchio come al nuovo anarchismo, se davvero differiscono, dovrebbero pubblicizzare i loro approcci, non fra di loro, ma nel mondo esterno avverso.
In realtà, nel corso della mia presenza a Grenoble sono venuto a conoscenza di circa una decina di esperimenti di anarchismo applicato. Jean-Manuel Traimond, che è stato sufficientemente gentile da farmi da interprete, è l'autore di un libro di storie tratte dall'insediamento abusivo venticinquennale di Christiania a Copenaghen. Altri hanno parlato della scuola chiamata Bonaventure, sita in un'isola a nord di Bordeaux, e della comunità chiamata Los Arenalejos alle porte di Malaga, nella Spagna meridionale. Ho imparato come Peter Schrembs ha organizzato un'agenzia cooperativa di pulizie in Svizzera, scavalcando gli appaltatori, e ho sentito Claire Auzias parlare dell'avventura di una scuola progressista a Nantes (il Liceo Autogestito) organizzata all'interno del sistema ufficiale da Gabriel Cohn-Bendit. L'anarchismo s'insinua come una voce calma ma persistente.
Questo è il messaggio che ho riportato da Grenoble.